La somiglianza con altre malattie rende la celiachia di difficile diagnosi, si calcola, infatti, che circa 5 persone su 6 affette da celiachia non vengano riconosciute. La celiachia è una malattia genetica, autoimmune, caratterizzata dalla sensibilità verso una specifica proteina (glutine), spesso associata ad altre patologie autoimmuni. La patologia è secondaria ad un malassorbimento intestinale cronico causato da un‘intolleranza permanente al glutine.

La celiachia nell’adulto non sempre si manifesta con sintomi tipici ed  inequivocabili quali: feci diarroiche, maleodoranti ed untuose, vomito, addome globoso, calo ponderale, arresto della crescita, carenze vitaminiche. I sintomi possono essere i più disparati e non sempre  coinvolgono solo l’intestino. Il paziente celiaco adulto può presentare: stipsi od alvo alterno, dispepsia, meteorismo, anemia, leucopenia, lividi, dita a vetrino d’orologio, cute secca e capelli fragili, atrofia muscolare, alterazioni oculari, bassa statura, ritardo puberale, infertilità, aborti ricorrenti, anomalie dello smalto dentario, ipertransaminasemia, polineuropatie periferiche, osteoporosi, crampi muscolari, parestesie, disturbi cutanei, debolezza generale, gonfiore alle caviglie, infezioni da candida ricorrenti, letargia, dermatite erpetiforme, infezioni cutanee purulente, etc.  La diagnosi viene posta sulla base dei sintomi e confermata da sierologia e biopsia duodenale. Il primo test da effettuare è il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi  (IgA) nel sangue periferico, un  test dotato di ottima specificità e sensibilità.

Per una conferma definitiva il passo successivo nel paziente adulto è, a tutt’oggi, la biopsia duodenale per valutare l’entità delle lesioni intestinali secondo la classificazione di Marsh-Oberhuber.

L’ unica terapia conosciuta al momento per la cura della celiachia è un’alimentazione rigorosamente priva di glutine da seguire a vita. Non esiste ancora una terapia farmacologica, anche se alcuni farmaci vengono impiegati per la cura di alcune manifestazioni cliniche della patologia, come ad esempio la carenza di ferro .

Si suggerisce di eseguire un primo controllo a 6 mesi dalla diagnosi e quindi ogni anno mediante visita medica con intervista dietetica con esami bioumorali, markers  immunologici e markers di autoimmunità. Una densitometria ossea (MOC) è prevista  dopo almeno 18 mesi di dieta senza glutine (e non più alla diagnosi) per valutare la presenza di eventuale osteopenia/osteoporosi e viene ripetuta solo se patologica o in presenza di indicazione medica.

Un altro quadro di allergia alimentare non così frequente, può verificarsi in pazienti non allergici, legata anche in questo caso alla ingestione di frutta, ma non solo fresca, anche cotta e in forma di preparati commerciali. Solitamente i sintomi sono legati alla ingestione di frutta appartenenti al gruppo delle rosacee (pesca, mela, ciliegia) o all’ingestione di frutta secca. Tale allergia non è correlata alla pollinosi ed è legata alla presenza di una classe di proteine termostabili (LTP, storage protein), con la presenza di sintomi di grado anche severo.

L’eliminazione dalla dieta dell’alimento verso cui il paziente è allergico rappresenta il trattamento principale per prevenire ulteriori reazioni nel soggetto con allergia alimentare.

La completa eliminazione dalla dieta dell’alimento allergizzante non è un opzione terapeutica sempre praticabile, in quanto l’alimento può essere un componente essenziale della dieta (come ad esempio il latte e l’uovo) oppure può essere difficile identificare allergeni nascosti o cross-reagenti.

Dott.ssa Julia Blume
Gastroenterologa